Breve racconto di grande passione

Avevo appena compiuto 23 anni, e l’Italia non la conoscevo affatto. Figlia di operai lavoratori spacca schiena, che la domenica non c’era tempo di andare in giro per visitare altre città, per l’arte. La domenica apparteneva al riposo e al risparmio, tutto volto alla casa dei sogni.
Verso giugno nel lontano ’94 con il mio fidanzato, che poi sarebbe diventato il padre di mia figlia, decidemmo di fare quelle gite da piccioncini, mettendoci anche un po’ di cultura, meta: Firenze.
Ignara di quello che avrei conosciuto e di quanta magnificenza tutta in una volta mi sarebbe arrivata addosso come una tsunami di nuovi sentimenti fino ad allora mai percepiti.
Partimmo alla volta di Firenze, gioiosi della gita, speranzosi del piacere dello stare insieme finalmente soli, con la pregustazione dei tipici e succulenti piatti toscani che avremmo assaggiato e con la lista in tasca delle persone alle quali riportare il ricordino, che guai a dimenticarlo.
Le reminiscenze ormai flebili sul David e sul Tondo Doni, non erano le nostre preoccupazioni.
Come non lo erano, l’ignara conoscenza di una Leonardesca Annunciazione che gli occhi dell’angelo ipnotizzano ogni volta, anche se solo di profilo pare scorgono i tuoi, o stanno per farlo e tu sei come li, in attesa che quello sguardo possa solo per un attimo posarsi sulla tua umile persona.

A quei tempi per entrare nell’Accademia già c’erano file interminabili, e così di tutta pazienza iniziai a sfogliare velocemente la guida Toiuring Club Toscana, immaginando già la futura meta.
Quando entri in Accademia, le sale che precedono il grande David, sono piene di dipinti meravigliosi, raffiguranti perlopiù Madonne con Bambini circondati solitamente dal Battista, da qualche danaroso committente ritratto ai lati della Madonna, magari nella Nascita, se non addirittura nel momento della deposizione del corpo di Cristo dalla croce!
Tele di 600/800 anni, che si trasformano in strumenti interessanti per far capire o quantomeno intuire al pubblico, l’ego smisurato delle persone che a quel tempo, possedevano abbastanza denari da commissionare quadri di misure impressionanti, ed immaginare quanto grandi potessero essere le loro dimore, tanto da farci entrare una tela di svariati metri quadrati.
E poi scene di Santi, di martiri e di tutti quegli oggetti o fiori che hanno una simbologia specifica, che a quei tempi, gli artisti li sostituivano alle parole e, che solo dopo anni, ne avrei scoperto il delicato, a volte impercettibile simbolismo.
A ripensare oggi a quelle tele, penso siano delle vere e proprie Storytelling, forme di narrazione figurata, un po’ proprio come gli Egizi con i geroglifici; certo il dipinto lascia apio respiro anche alle considerazioni e valutazioni personali, ma la ricca simbologia raffigurata corposamente nelle tele, racconta, grida, spiega fin troppo bene, la storia che l’artista vuole raccontare, nasconde anche furbamente, agli spesso ignoranti committenti, doppi sensi davvero molto simpatici.

Oggi, di fronte alle tele, quando ho il piacere di ascoltare le guide che me le raccontano, applico la mia regola del 50%:
Consiste nell’ascoltare l’informazione, pensare che il 50% sono informazioni che arrivano magari da documentazione e testimonianze, come Cellini per la storia e la composizione del colore o del Vasari, che racconta la vita di innumerevoli artisti di spicco, e poi di anni ed anni di studi successivi ad essi. Del restasnte 50% rimasto, il 25% sono fatti travisati, interpretati, manipolati o mal riportati, un po’ come considero l’informazione che ci arriva oggi dai media.
Comunque in quelle sale iniziò ad affacciarsi in me un inquietudine, come un senso di disagio misto ad una sensazione di piacere, un lieve gorgoglio nello stomaco, che non capivo se fosse un senso di “fametta” o di “nausetta”, un impercettibile ronzio nella testa ed inizia ad arrampicarsi sul mio corpo, con unghie acuminate, quell’ansia di non riuscire a vedere tutto, mista al desiderio di capire perché il Giglio si ripresentasse sempre maestoso nella Mano della Madonna o il passerotto sempre presente vicino alla figura di Gesù. Perché una Mela nella mano del Giovanni Battista o un fiordaliso ai piedi dei santi.
Intanto il mio ragazzo iniziava a dare cenni di cedimento e continuava a dirmi che il bello ancora non era arrivato. Riuscii ad autoconvincermi che da quel posto avevo preso abbastanza, solo dopo che le guide che spiegavano ai turisti come interpretare il quadro, si erano arrese, e mi avevano accettato come uditrice non pagante.
Uscii riluttante dalle stanze per immettermi in un lungo corridoio, dove aimè ignorai quasi completamente I Prigioni, che ci tengo a giustificarmi, non si possono capire e subito apprezzare, se non hai almeno provato a conoscere Michelangelo il padre fondatore della scultura del cambiamento e della magnificenza.
In quel lungo corridoio che mi apparve infinito, quasi corsi per arrivare di fronte a quello che avrebbe per sempre aperto i miei personali portali della passione e di fronte al David, piansi di estasi, di bellezza, di gioia e di Amore.
Ero paralizzata. Il mio corpo era rigido, sudavo ed avevo la salivazione azzerata, peggio della moquetes sulla lingua, ma ce l’avevo ancora una lingua? Ero confusa, la testa mi girava, gli occhi mi facevano male, quei 5 metri di infinita bellezza e perfezione, di candore e marmo e materia e anatomia, non volevano entrare nei miei occhi.
Tutto era troppo ma il troppo era poco, poco per il mio cuore che aveva un extrasistole, sentivo le vene del collo esplodere e riscaldarmi, i piedi formicolavano, nello stomaco come avere un buco nero, all’interno del quale la mia materia corporea si dissolveva nell’infinito del niente e del tutto e ad un certo punto, quando ormai tutto era troppo … Il niente … non avevo più materia, più sensazioni, non esistevo.
Era come avvertire la materia del David vista sempre più da vicino, al microscopio, ed improvvisamente, come ad essere in possesso di una delle più potenti lenti del miglior microscopio dell’universo, ho avuto la sensazione come di percepire cosa c’era all’interno di quella materia, la porosità del marmo così impercettibilmente piccola, ed allo stesso tempo cosi malleabile e duttile; non avrei mai immaginato di definire il marmo come avente delle proprietà della duttilità.
Quello che ricordo dopo, è stata una sensazione di fastidio assoluto, quasi di violenza corporea, come quando qualcuno ti si sveglia da un incubo, e nei secondi in cui vieni toccata o scossa, se proprio non riesci a svegliarti, l’incubo diventa più intenso e ne riesci a percepire il dolore fisico. Impiegai minuti per capire che era Fabio, che mi strattonava per un braccio, per fermarmi dal lup delle foto.
Avevo avuto un tilt della mente, il mio dito scattava fotografie senza tregua, anche dopo che il rullino aveva terminato il suo giro.
Cosa era accaduto il quel museo? Avevo incontrato per la prima volta la passione, quel sentimento impetuoso, basato sui piaceri procurati dai miei sensi il quale mi aveva impedito il controllo della ragione.
Qual’era stata la causa scatenante?
Ci misi un secondo a riconoscere la mia vera passione dopo averla incontrata, la scultura, ed una vita a conoscerla e a capire come gestirla.
Capii da subito però che la conoscenza avrebbe potuto aiutare ad alimentarla ma anche a tenere a bada quella fame insaziabile, quella bramosia di possederla, tutta.
Iniziai a documentarmi sulla vita e le opere del Maestro e di tutti gli innumerevoli Artisti che ho conosciuto grazie alla scultura, e per anni sono stata fedelmente e infervoratamente innamorata del maestro, che tutt’oggi ritengo il mio mentore di ieri e di domani.
Ho cercato di ripercorrere per quello che ho potuto anche i luoghi in cui ha vissuto, arrivando persino a voler assaggiare la materia e a mangiare un pizzico di polvere di marmo per capire quale poteva essere l’effetto nel corpo e nella mente.
Quanti kg di materia avrà ingerito durante tutto il corso della sua lunga vita? Quanta ne avrà respirata e quanta sarà diventata parte integrante del suo corpo?

Sono diventata l’anatomopatologa immaginaria di Michelangelo ed ho voluto provare cosa significava assaggiare quella materia così incredibilmente ricca di forme al suo interno e di sentimenti.
L’ho immaginato con i suoi attrezzi, gradine bocciarde grattafondi, compassi, lime. I suoi fedeli servitori, gli unici con i quali credo abbia avuto quella fisicità passionale, che gli hanno permesso di creare tanta bellezza e di tirare fuori dal marmo quelle forme così incredibilmente proporzionate, così piene di intenti di emozioni, di espressioni nelle quali, puoi arrivare a riconoscerti.
Poi il mio fervore si è spostato sul Bernini ed ancora oggi, se chiudo gli occhi e penso ad Apollo e Dafne, posso percepire l’intenzione di illibatezza che inizia a trasformare i miei piedi in alloro, quelle foglie scolpite così sottili che ci vedi la luce attraverso. E poi il ratto di Proserpina, e quella lacrima sulla sua guancia del quale non ne puoi non sentire il peso, non puoi non percepire le dita anche nella tua carne e quella violenza che diventa anche la tua personale violenza e quella perpetrata su tutte le donne ancora oggi.
Così Gian Battista Bernini è diventato per anni quell’amante che ha acceso il fuoco della passione per il suo operato e per la sua mente che ha processato quelle forme, che da secoli, nell’universo suscitano emozioni di incredulità e fuoco ardente per l’arte.

Effettivamente ho avuto ed ho ancora innumerevoli amanti passionali ognuno a loro modo, e non mi sento sporca per questi innumerevoli amori.
Picasso e Calder, Alberto Giacometti, finanche l’architetto Calatrava che in questi anni più recenti, ho avuto l’onore di incontrare e conoscere, dopo aver visto una sua mostra alle scuderie del Quirinale a Roma.
In quella occasione la mostra verteva sulla poetica del movimento, ed il Maestro aveva trattato il movimento e le torsioni del corpo umano, in un modo molto moderno e di facile deducibilità. Con dei piccoli cubi di marmo, sorretti da fili di acciaio, aveva simulato tutte le torsioni e le distensioni del corpo umano in movimento, e devo dire che opera dopo opera, la classica anatomia, iniziava a confondersi e fondersi in quegli esplicativi cubi di marmo.
Come sempre, volsi lo sguardo nell’altra sala, come per tranquillizzarmi del fatto che c’era altro da vedere, mai stanca di riempire i miei occhi di bellezza, e scorsi da lontano una forma sferica che destò talmente la mia curiosità, facendomi lasciare la sala e percorrendo con passo accelerato il percorso verso quella bianca, candita illuminata scultura, che sempre più mi chiamava.

Mentre mi avvicinavo, il mio intelletto tentava di elaborare la forma, sfidando se stessa nel tentare di capire quel rebus moderno di marmo bianco, ed una parola sola emergeva dalle mie elaborazioni: Vagina.
Questa parola mi costringeva ad insultare la mia intelligenza ed il mio senso di percezione, nello stesso tempo in cui la nausea, i giramenti di testa, le vertigini iniziavano a riaffiorare come allora e capii che sarei nuovamente stata catturata, da quella forma che la mia mente aveva decifrato come organo genitale femminile. Arrivata al cospetto di essa, il mio cervello incuriosito ed in sfida con se stesso, per scoprire la forma e dare un nome dignitoso e di tutto rispetto al capolavoro, lesse: “Imene” ed in senso di nausea e di capogiro mi fece annebbiare la vista.

Avevo intuito a metri di distanza cosa voleva rappresentare il Maestro, in quella piccola e modernissima forma di 15 cm di marmo.
A quel punto, come posseduta da un altro essere, iniziai a pensare seriamente al furto dell’opera; Possedere l’opera era una tesi avvalorata dal fatto che il mio compagno, per tutto il tempo mi aveva detto che di sicuro non poteva raffigurare una vagina; invece io avevo avuto la stessa intuizione dell’architetto, o quanto meno ne avevo assorbito il suo linguaggio, totalmente.
Fu quella intuizione che fece sentire forte in me, quasi il senso di appartenenza all’opera, e che essa, avrebbe dovuto entrare in mio possesso.
Il piano era semplice, nella stanza non c’erano effettivamente degli operatori museali fissi, essi giravano passeggiando distrattamente ed in modo molto annoiato per le varie stanze del museo e, a quell’ora la presenza delle persone era scarsa, ed anche un poco annoiata da tutta quella modernità.
L’opera di dimensioni molto ridotte, avrebbe potuto entrare nella mia borsa, dopodiché non avrei dovuto iniziare a correre subito, ma passeggiare lentamente e distrattamente fino alla successiva stanza, e poi correre all’impazzata fino a schizzare fuori dalla struttura e sparire per sempre.
Avrebbe potuto essere semplice tanto quanto la follia che in un solo attimo mi aveva posseduto.
Cosa aveva scaturito quella follia? Lo stesso sentimento che di fronte al David mi aveva fatto percepire la sua materia fino al suo più profondo interno: la passione.
Ovviamente non ci fu nessun furto, parlai immediatamente al mio compagno di quel pensiero che mi aveva posseduto e ci ridemmo su, ma solo dopo un po’.
Nel lontano 94 io sposai il David, questo è certa notizia che posso testimoniare, e nonostante gli innumerevoli amanti che ho avuto nei successivi anni, che ci tengo a precisare sono stati tutti grandi artisti da secoli deceduti, nessun umano è stato così all’altezza di suggellare un matrimonio terreno, nemmeno convogliando a Las Vegas.

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