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Cos’è la passione

“Die Grenzen meiner Sprache bedeuten die Grenzen meiner Welt.”
“I limiti del mio linguaggio sono i limiti del mio mondo.”

— Ludwig Wittgenstein

Lingue, linguaggi, langue e parole, lingue morte, lingue vive, lingue lontane e lingue vicine. Semplicemente lingue.
L’interesse e la curiosità si insinuano lentamente. L’occhio cade dapprima su lettere che non si è abituati a scrivere, su gruppi consonantici che non ci sono familiari e su parole che invece sembrano quasi uguali a come le diciamo noi.
La curiosità si concretizza in lezioni, in libri, in manuali e in video fino a portarmi a lezione di finlandese e a ritrovare un vecchio quaderno di quando avevo deciso di imparare il coreano.

Sono sempre stata convinta che noi appassionati di lingue non scegliamo quale idioma studiare, ma sono loro a scegliere noi.
Iniziano poco per volta a farsi notare, ci colpiscono con i loro suoni e le loro peculiarità, ammaliandoci con termini intraducibili che magari, proprio in quel preciso momento, si adattano perfettamente al nostro stato d’animo o a una particolare situazione che stiamo vivendo.
Io personalmente me ne sono accorta abbastanza presto: a dieci anni inglese era la mia materia preferita.

Negli anni successivi mi sono appassionata, invece, al tedesco.
La lingua di Goethe e Nietzsche supera tutti i pregiudizi che le vengono superficialmente attribuiti. La capacità del tedesco di esprimere concetti tramite singole parole, specie per quanto riguarda l’ambito della filosofia, ha fatto sì che me ne innamorassi, odi et amo, per tirare in ballo Catullo e il latino.
Francamente non ho mai capito perché a scuola la maggior parte dei miei compagni detestasse il latino, leggere e tradurre gli autori latini mi ha insegnato a soppesare ogni parola (e soprattutto a fare attenzione alle desinenze).

Dopo l’inglese, il tedesco e il latino si è fatto spazio anche lo spagnolo, o meglio, il castigliano.
Devo essere sincera, all’inizio lo odiavo. Non riuscivo a capacitarmene, ma era così. Non mi piaceva. La poesia barocca non la digerivo proprio, per non parlare di Don Chisciotte! Ci è voluto un po’ perché facessimo pace, ci sono voluti i versi di Lorca e i racconti di Gabriel García Márquez, che mi hanno presa per mano e accompagnata in viaggi incredibili lungo le coste caraibiche.

Il passo fuori dalla comfort zone l’ho fatto quando ho scelto di studiare cinese. Mi sono ritrovata nel giro di pochi mesi a dover cambiare radicalmente il modo di approcciarmi a materie che già conoscevo bene, a cambiare il mio modo di pensare una lingua, scontrandomi con un mondo che si rivelava ogni giorno sempre più sconfinato e da cui mi lasciavo inglobare. Sul foglio bianco davanti a me iniziavo a scrivere non lettere, ma tratti; seguendo un ordine preciso dentro ad un quadrato ideale si materializzavano forme.
Non sono lettere, ma pittogrammi, logogrammi e ideogrammi.

Millenni prima che io le scrivessi sul mio quaderno qualcuno iniziava a stilizzare un maiale o un cavallo con uno stilo su carapaci di tartaruga.
Si tratta di profonde differenze tradizioni letterarie, filosofiche e linguistiche che rompono i miei schemi mentali, come un fiume in piena che rompe gli argini.
Questa profonda diversità mi incuriosisce e mi porta a volerne sapere sempre di più, a capire e a conoscere.

È un sentimento che probabilmente si affievolirà, allenterà la presa o che a momenti mi parrà sopito. Tornerà sempre a farsi sentire davanti a un papiro, un’insegna, o i volumi polverosi di una biblioteca.



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Beatrice Romano

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