Erano anni che un amico di vecchia data mi chiedeva insistentemente di andare con lui in vacanza in Colombia. Lui era un habitué, infatti si recava (ed immagino si rechi ancora) in quel di Cartagena, ogni anno per tutto il mese di Febbraio. “Dai, vieni che ci divertiamo!” non faceva che dirmi cercando di convincermi. Ho sempre rifiutato il suo invito perché la Colombia non mi ha mai attirato particolarmente, sono una fifona e ne avevo sentite diverse sulla pericolosità di questo Paese. Ma nel 2016 mi sentivo particolarmente coraggiosa e decisi che era arrivato il momento di buttarmi. Così cercai dei biglietti aerei che corrispondessero alle date dei voli del mio amico, dato che lui, tipo previdente, aveva già prenotato da mesi.
Primo segnale
Col senno di poi mi sarebbe dovuto suonare come un avviso, ma si sa, presi dall’entusiasmo si tende a sottovalutare i segni celesti: di voli che corrispondessero non ce n’erano. Ormai lanciatissima dissi che non c’era nessun problema, che avrei acquistato i voli disponibili. Praticamente l’avrei raggiunto qualche giorno più tardi al suo arrivo a Cartagena e sarei tornata qualche giorno prima di lui in Italia. Mi dissi: “sono solo 20 ore di andata con soli 2 scali e 19 di ritorno con altrettanti scali, alla fine che ci vuole? Devo solo salire sui vari aerei e dormire o guardare dei film.”
Ceeerto, come no! Mai previsione si rivelò più sbagliata. Il viaggio di andata fu un vero e proprio incubo: partii bella carica in piena notte alla volta di Fiumicino ma il mio entusiasmo si spense presto. Infatti il primo volo da Roma era in forte ritardo con la conseguenza che tutti gli altri in coincidenza rischiavo di perderli. Fortunatamente li riuscì a prendere entrambi: il primo per un soffio e solo perché allora ero allenata a correre, il secondo perché partì a sua volta in ritardo di 4 ore. Impiegai ben 24 ore ad arrivare a destinazione ed il tutto senza aver dormito nemmeno un secondo a causa dell’ansia che si era impossessata di me per via delle condizioni avverse. Maledissi me stessa per aver affrontato quel viaggio da sola, in compagnia sicuramente avrei diviso la pena.
Quando arrivai a Cartagena ero uno straccio e non desideravo altro che farmi una bella doccia e una mega dormita!
Secondo segnale
Mentre attendevo l’arrivo della mia valigia faticavo a reggermi in piedi ma l’idea che presto mi sarei riposata mi dava la forza per non crollare. Aspettai pazientemente vedendo tutti gli altri che andavano via fino a quando rimasi da sola di fronte al nastro trasportatore dei bagagli… vuoto! “Mi hanno perso la valigia” mi dissi sconfortata: la rabbia richiedeva energie che allora non avevo.
A distanza di anni l’unica parola in spagnolo che mi è rimasta impressa di quella vacanza è stata “maleta” ossia valigia, per tutte le volte che la pronunciai e che la sentii pronunciare nei giorni seguenti. Al reclamo bagagli mi dissero distrattamente di provare a tornare il giorno dopo per vedere se la mia maleta fosse arrivata. Ebbi il primo assaggio della disorganizzazione totale colombiana (cosa che pare riguardi tutto il sud america)
Recuperai il mio amico, che per fortuna era venuto a prendermi, e ci avviammo verso l’appartamento ultra moderno al 15° piano in uno dei grattacieli turistici che aveva affittato per la sua vacanza annuale colombiana.

Non c’è due senza tre!
Appena entrai nell’appartamento vidi di sottecchi una figura nera sfrecciare sul pavimento. Fu impercettibile e non dissi nulla ma quando ne vidi un’altra e poi un’altra mi resi conto con orrore che si trattava di scarafaggi! Urlai disgustata ma il mio amico mi rassicurò dicendomi che erano giusto un paio e che già nel palazzo si stava procedendo alla disinfestazione.
Ora c’è da dire che io sono la persona più schizzinosa che conosca, in un altro momento sarei scappata a gambe levate, ma ero così esausta che gli credetti e dopo aver mangiato una cosa veloce, crollai a dormire…. svegliandomi di soprassalto dieci minuti dopo sentendo qualcosa che mi camminava sul polpaccio. Accesi la luce e di fronte ai miei occhi si palesò lo spettacolo più disgustoso che potessi mai immaginare: decine e decine di scarafaggi sul mio letto che scappavano impazziti.
Giuro che non so neppure io come non mi buttai dal balcone. Probabilmente il fatto di essere così stanca fu un bene in quella situazione, infatti non mi suicidai. Trascorsi invece l’ennesima notte in bianco (la terza) sul balcone, seduta su una seggiola (l’unico posto dove mi ero convinta che gli orribili mostriciattoli non potessero raggiungermi) con la testa che ogni 3×2 mi cadeva in giù. Quella fu decisamente la notte più lunga della mia vita.
In seguito scoprii con raccapriccio che quell’anno c’era stata un’invasione di scarafaggi per tutta la città e che il 90% degli enormi palazzi moderni affittati ai turisti era stata infestata. Al raccapriccio seguì il disappunto nei confronti del mio amico che non mi aveva informata nei giorni precedenti, dicendo di non volermi mettere in agitazione. In effetti cosa avrei potuto fare? Annullare il viaggio perdendo i soldi del biglietto? Beh… Forse sì!
Ma ormai ero lì e non potevo fare altro che affrontare la situazione.
Mi faccio forza
La mattina seguente non volli sentire ragioni (il mio amico inspiegabilmente insisteva affinché restassi) e prenotai su booking l’albergo più vicino, non prima di aver chiamato per assicurarmi che le cucaracha (così chiamavano affettuosamente le occupanti della casa) lì non ci fossero.
Fu così che nel primo pomeriggio del giorno dopo il mio arrivo, finalmente riuscii a dormire.
Mi svegliai che era notte e mi sentivo decisamente meglio ma non benissimo (ci misi giorni a recuperare). Chiamai il mio amico che, prima che sprofondassi nel sonno, si era offerto di andare a recuperare la mia valigia …era ancora dispersa. Fortunatamente ero stata previdente e nel bagaglio a mano avevo messo una maglietta dei pantaloncini ed un costume, cosa che mi permise quantomeno di uscire dall’albergo per i 2 giorni successivi.
Infatti, quando ormai non ci speravo più, la mattina del quarto giorno riuscii a recuperare la mia maleta. Per la prima volta dopo giorni riuscii a regalarmi un sentimento di positività e mi dissi che da lì in avanti le cose sarebbero andate bene.
Il mio amico mi presentò tutte le persone che in quegli anni aveva conosciuto lì a Cartagena. Conobbi tantissimi napoletani fuori di testa (si capiva che il motivo del loro soggiorno non era prettamente turistico) e molte signorine che si dilettavano nell’arte più antica del mondo che oramai, dopo tanti anni di frequentazione, erano diventate loro amiche strette.
All’improvviso mi ritrovai nel gruppetto di magnacci drogati e prostitute. Mi chiesi cosa cavolo ci facessi li ma non volevo sembrare una bigotta e feci finta di niente.
Iniziai a guardare con sospetto il mio amico, chiedendomi come gli fosse venuto in mente d’insistere per farmi andare lì: di droghe pesanti non ne usavo ed allora un lavoro ce l’avevo!
Non ebbi mai una risposta perché la nostra amicizia terminò prima che rientrassi in Italia.
Ma andiamo con ordine.
Si susseguirono giornate “piacevoli” in compagnia della comitiva di cui sopra. Visitai la splendida città di Cartagena in lungo ed in largo, delle località nelle vicinanze ed alcuni isolotti del Mar dei Caraibi raggiungibili col traghetto in poco più di 2 ore. La giornata di cui serbo il ricordo migliore è quando affittammo uno yacht con tanto di camerieri, per una splendida ed indimenticabile giornata di balneazione in atolli deserti e paradisiaci. Piccolo neo, ero l’unica donna e quindi mi sciroppai una giornata tipica tra uomini, una sorta di reunion tra compagni ubriachi e molesti.

Ci furono cene su cene, aperitivi, serate interminabili in locali chiassosi e fiumi di alcool. Io ovviamente non reggevo il ritmo delle serate e spesso abbandonavo la simpatica comitiva per andare a riprendermi e a riposare. Non era propriamente il genere di vacanza che avevo immaginato. Tutto comunque proseguì tranquillamente fino all’ultima serata.
Il giorno dopo sarei ripartita ed il mio amico aveva deciso di organizzare a casa sua una cena di saluto tra pochi intimi. Io ero un po’ riluttante per via delle cucaracha che, nonostante le varie disinfestazioni, erano ancora vive e vegete, ma accettai per non offenderlo.
Purtroppo quando vidi scorrazzarle vicino ai fornelli ed al pane tagliato mi si chiuse lo stomaco. Non toccai cibo, non ce la facevo proprio. In compenso bevvi molto e mi uscirono anche un paio di battute di scherno rivolte al mio amico ed alle sue coinquiline infestanti. Fu allora che lui scoppio urlandomi contro di tutto: del fatto che fossi un’ingrata, che non apprezzassi nulla, che fossi una maleducata, ecc.… ecc…
Io ero sbalordita da tanta rabbia e capì che si era sentito mortificato per la situazione e che averci scherzato su non era stata una buona idea. Fatto sta che da allora non ci parlammo più. Chiuso, finito.
Rullo di trombe: si torna a casa!
Il giorno dopo presi un taxi ed andai in aeroporto con la sensazione di voler terminare al più presto quella disastrosa vacanza ma evidentemente avevo dimenticato la legge di Murphy: “Niente va mai così male che non possa andar peggio “. Infatti il viaggio di ritorno fu peggio dell’andata. Questa volta impiegai un giorno e mezzo a tornare In Italia e lo scoglio più difficile da superare fu combattere l’ormai leggendaria disorganizzazione colombiana che superò sé stessa e toccò vette di inefficienza inenarrabili.
Rimasi bloccata per ore e lasciata allo sbando in quel di Bogotà e faticai parecchio per riuscire ad accaparrarmi un posto in un qualunque volo con scalo in una capitale europea (come se non avessi pagato il biglietto). Farmi capire fu un’impresa ed il mio inglese maccheronico non aiutava. Mai come allora maledissi la mia ignoranza linguistica e mi ripromisi che, una volta tornata in Italia, avrei posto rimedio (cosa che ovviamente non ho ancora fatto).
Quando arrivai a Londra mi commossi tanta era chiara e forte la sensazione di sentirmi a casa, ero in Europa! Avrei voluto abbracciare il pavimento per la felicità, mi sentivo come di ritorno dalla guerra. Dopo aver visto cosa accade oltreoceano mi ripromisi che sarei stata più magnanima con le inefficienze del mio Continente.
Da Londra a Pescara trascorsero altre ore ma oramai la tensione che mi aveva imprigionata dal giorno della partenza, si stava man mano sciogliendo. Era finita.
Arrivai a casa in piena notte e questa volta sprofondai distrutta sul mio letto amandolo come mai mi era successo prima. Quando mi svegliai mi guardai allo specchio e mi vidi dimagrita; così tirai fuori dei vecchi jeans che non avevo mai voluto buttare, giurandomi che un giorno sarei riuscita a rientrarci, e li indossai. Mi stavano con agio. Per almeno altri 2 giorni.

Conclusioni:
Lo stress fa dimagrire.
Il senso di rilassatezza fa ingrassare.
Se un’amicizia finisce per una banale litigata non era poi questa grande amicizia.
L’audacia non sempre paga.
Qualunque esperienza disastrosa, trascorso il dovuto tempo e prese le dovute distanze, finirà per farti ridere.