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Uno straniero nello specchio

Ero solo una ragazza che frequentava le scuole medie quando la mia insegnante di italiano mi spronò a fare della scrittura la mia professione. “Hai un modo di scrivere molto particolare” continuava a ripetere, ma io, influenzata dai continui “ma cosa pensi di poter fare dopo un liceo? Dovrai fare l’università, che ti da un foglio di carta che non serve a nulla” decisi che per la mia vita, non c’era spazio per la scrittura.

Annullai la mia iscrizione al liceo, i primi giorni di settembre, e andai in un istituto professionale, dove mi avrebbero insegnato a lavorare… “questa è la scuola giusta!” Mi ripetevo per convincermi. “Uscita da qui, avrai un lavoro certo” mi dicevano tutti, orgogliosi del mio nuovo percorso.  Ma ogni sera, sotto al cuscino, riempivo le pagine del mio diario, il mio inseparabile amico, affinchè mi alleggerisse le giornate e mi aiutasse a darmi quelle risposte alle domande quotidiane.

Non passò molto tempo prima che il mio diario, divenisse un raccoglitore di storie mai avvenute e vicende mai narrate. A 15 anni, con il mio primo pc, decisi di scrivere tutte quelle storie che avevano consumato, fino ad allora, tanta carta e inchiostro.

Parlavo della mia vita in una chiave magica, parlavo di felicità, amore e sogni, di futuri in ci speravo. Finchè a 18 anni, qualcosa iniziò a non andare. Per dieci mesi ho vissuto intense giornate con emicranie perenni, che nessun antidolorifico poteva placare per più di una ventina i minuti, proprio durante il periodo della maturità. Una settimana dopo l’esame di stato, feci tutte le analisi possibili e non vi era alcun dubbio. Era un tumore in espansione che si stava facendo strada nella mia testa.

Non passarono molti giorni prima della mia operazione, avvenuta con successo all’ospedale di Torino. Ricordo ancora come fosse ieri: i miei capelli parzialmente rasati per l’occasione, quel cerotto sulla testa più grande di una mano, il caldo sole di luglio, la pelle in tensione come un paio di jeans di qualche taglia più piccoli, la confusione, la debolezza.

Poi è arrivato il buio. Dopo una decina di giorni dall’intervento, ormai prossima a togliere i punti, mi alzai dal letto, mi guardai allo specchio e ciò che vidi mi ha totalmente spiazzato.


Vedevo nello specchio una figura conosciuta, mi ricordavo di com’era fatto il mio viso, ma avevo perso buona parte dei miei ricordi. Non sapevo chi ero: simpatica?  Ironica? Noiosa? Non lo sapevo. Che rapporto avevo con la mia famiglia? Era tutto svanito. Lo scheletro di una casa, senza il carattere di infissi e arredamento. Quel giorno è stata la mia seconda nascita.

Ho preso i miei diari e li ho divorati con estrema bramosia, tra sorrisi, lacrime e immagini sfocate che nel corso degli anni sono riemerse, a metà tra un vero ricordo e un riflesso di una storia trafugata dal mio passato. I miei diari hanno avuto un impatto essenziale, mi hanno aiutata a capire chi ero, cosa avevo vissuto, nel bene e nel male e mi hanno dimostrato che, senza la propria storia, non si è nessuno, solo una scatola vuota. La scrittura mi ha salvato la vita, almeno quanto lo hanno fatto i medici.

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Elisa Moratto