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Canovaccio

Mi chiamo Penelope, ho 37anni e vivo a Valencia. E vi voglio raccontare di una foto che ha cambiato la mia vita.

Sono nata in un piccolo paesino, Requena. Sono cresciuta in una famiglia molto tradizionale. Mio padre, Pablo, era il contabile di una grande azienda e mia madre, Lucretia, una casalinga. Ho due sorelle, Conchita e Maria, io sono la più piccola. Penserete: “Bhè la più piccola, la più viziata”. Certo per un bel periodo della mia vita lo sono stata. Mi bastava giocare e fare tutto quello che da una bambina è solito aspettarsi. Ma arriva un momento che si cresce e non ti bastano più puzzle e bambole.

L’adolescenza

A 16 anni mi sentivo diversa dalle mie compagne di classe, che pensavano ai ragazzi e a farsi belle (anche a me piacevano ma non erano il mio pensiero fisso). Volevo di più per me stessa. Iniziai a sognare per me una vita piena di avventure e paesi lontani. Andavo sempre nella libreria vicino casa mia a sfogliare libri da viaggio di posti che fossero i più lontani possibili. A casa mia le vacanze erano dai nonni, vicino al mare, ma niente di avventuroso. Così stava bene ai miei genitori. Fare le cose perchè è giusto farle. Come se ci fosse un giusto o sbagliato. Non l’ho mai capito.

Da buona ribelle, insieme ai mie amici, mi facevo le canne di nascosto. Non era per sentirmi più grande, ma per sentirmi più felice per pochi momenti.

Avevo maturato la passione per la fotografia, quella in b/n. Andavo sempre in giro con la mia Yashika (il mio regalo dei 18 anni) alla ricerca di qualche storia da immortalare. Mi diplomai e dopo l’estate avrei dovuto iscrivermi all’università. Ma non volevo seguire le orme di mia sorella, Conchita. Lei stava frequentando il prestigioso Politecnico di Valencia. Ma io volevo rincorrere il mio sogno, viaggiare insieme alla mia Yashika e scoprire il mondo. Fu lì che la natura tradizionale di mio padre emerse.

“Non puoi fare la zingara per il mondo e non avere nemmeno un quattrino per vivere” – disse mio padre.

Mia madre non parlava. Io suoi occhi però non li capivo, sembravano dicessero altro. Ma in quel momento non li diedi peso.

Si discusse per giorni. Mai come in quel momento avrei voluto teletrasportarmi in quei posti che tanto sognavo.

Dovevo partire

Tutto cambiò

Dopo il diploma, mi misi a lavorare in un bar del paese per potermi mettere da parte un po’ di soldi per partire.

Fu dopo quell’estate che tutto cambiò dentro di me. Mi armai della mia valigia e della mia compagna di viaggio, la mia 35mm.

Mio padre non fu tanto felice della mia scelta, ma sapeva che non poteva fermarmi. Abbracciai mia madre e le promisi che ogni posto che avrei visitato le avrei scritto una lettera.

Quei viaggi furono un susseguirsi di sapori nuovi, volti nuovi e posti incantevoli. Ero riuscita a coronare il mio sogno. Vivere della mia fotografia.

Dopo 2 anni tornai dal mio viaggio, piena di storie da raccontare e con nuovi progetti da voler fare.

Tornata in Spagna, mi iscrissi all’Università di arti e fotografia di Valencia. Mi laureai e diedi vita ai miei progetti. Tutto andava come volevo io, nessuno mi poteva più fermare. Purtroppo negli anni, qualcosa mi fermò. Mio padre si ammalò e nel giro di pochi mesi venne a mancare. Dovetti tornare per qualche anno a Requena, per stare accanto a mia madre. Non fu per niente facile per me, ma era giusto. In quel periodo conobbi mia madre però. Fu una scoperta di come una mamma così taciturna fosse in grado di rivelarsi ironica, testarda e sognatrice. Mi mostrò tutte le mie lettere di quei due anni. Le raccontai ogni viaggio e notai come i suoi occhi cambiavano espressione. Fu intenso quel periodo. Lei però mi lasciò.

Dopo i funerali, decisi di ripartire subito per Valencia. Fu dura.

Trovai casa, un piccolo appartamento vicino alla vecchia casa di infanzia di mia madre. Non so se fu un caso, oppure era perchè volevo sentirla in qualche maniera vicina.

Mi sistemai tutte le mie cose e uscii. Feci un giro per il quartiere. Molto carino. “Chissà dove giocava da piccola mia madre?” – pensai. Ricordo delle foto di infanzia e della sua casa. Mi fermai proprio lì davanti. Decisi di andarla a vedere. Bussai la porta e mi aprì una giovane donna, che scoprì dopo fosse anche lei una fotografa.

Era una casa molto classica e cercavo di scorgere qualche segno sui muri. Magari l’aveva proprio fatto mia madre. Raccontai che era la casa di infanzia di mia madre. Mentre lo raccontavo, continuavo a guardarmi intorno. Fu lì che fui rapita da una foto.

Era lì. Mia madre. Una ragazza. Diversa. Chiesi se potevo prenderla con me. Prima di andare, la ragazza disse: “Le rassomigli tanto. Avete gli stessi occhi”. Mi trattenni dal piangere e me ne andai.

Guardai la foto per ore senza rendermi conto che dietro c’era scritto qualcosa.

“Abbiate fame dei vostri sogni!” Lucretia

Fu lì che mi ricordai quel giorno della mia partenza. E capì.

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Francesca Cantale