Non ci voleva! Non ci voleva Assolutamente!
Vi rendete conto di ciò che mi è successo? Ma che domanda! Certamente no. Mentre voi passavate le giornate sui balconi a cantare i grandi classici italiani con tutto il vicinato e fare giardinaggio, io mi sono ritrovata a condividere la quarantena con una sola persona: Napoleone. Sull’Isola d’Elba. Ma cosa avrò fatto di male per meritarmi questo? Se solo lo avessi saputo in anticipo sarei rimasta volentieri da sola nel mio monolocale immerso nel grigiume cittadino. Invece no!

Ingenuamente ho deciso di scappare dalla solitudine affidandomi ad un’amica e andando in vacanza. Il nostro progetto era quello di passare l’imminente quarantena in un bel posto, con la possibilità di poterci muovere tranquillamente. Il piano però ha funzionato solo all’inizio: siamo riuscite a farci ospitare gratuitamente da Napoleone in cambio di lavori domestici.
E’ proprio qua che ha iniziato ad andare tutto a rotoli. Io mi occupavo di tutto e Samanta sbuffava e si lamentava.
Si è lagnata così tanto che dopo soli tre giorni è riuscita a scappare dall’isola e rifugiarsi dalla sua mammina lasciandomi in balia di questo Generale, a dir poco matto, che mi inseguiva per tutta la tenuta gridandomi ordini in una lingua a metà strada tra il Francese e l’Italiano.
I primi tempi è stato veramente duro. Mi sentivo abbandonata e allo stesso tempo in carcere sotto tortura. Cercavo di essere sempre gentile e disponibile, ma questo vecchio uomo si comportava da generale anche in casa. Il riposo esisteva solo la sera, dopo cena, quando l’anziano si chiudeva in un uno dei suoi salotti a leggere delle vecchie carte militari e borbottare tra se e se tattiche di attacco, ed io in un altra stanza a cucire le sue giacche (colpa di quel vizio che aveva di far passare la mano tra un bottone e l’altro).
Le faccende domestiche, invece, non finivano mai. Con una tenuta del genere ci sarebbe voluto l’aiuto di almeno una ventina di persone.

Era impensabile riuscire a fare tutto da soli ogni giorno ma alla fine sono riuscita pianificare la settimana per semplificarmi le fatiche e non arrivare a sera strisciante sui gomiti. Ma anche così è stato difficile adattarsi. Napoleone, come già accennato prima, mi inseguiva ovunque. Ovunque! Dovevo cucinare? Bene, lui era lì dietro di me a urlare cosa dovevo cucinare e come. Era la giornata del bucato? Nessun problema, Bonaparte era al mio fianco a dettarmi le specifiche. Mi facevano così tanto male le orecchie che un giorno pregai tutti i santi supplicandoli di procurargli un mal di gola, ma a quanto pare anche loro iniziavano a non sentirci più dalle strilla.
In uno dei tanti tentativi per cercare di comunicare con lui e cercare di spiegarli che poteva anche abbassare il tono e migliorare i modi, mi sono trovata con una secchiata d’acqua sporca addosso. Ebbene si, il mio tentativo è stato così tanto apprezzato che il generale mi ha rovesciato il secchio con l’acqua per lavare i pavimenti in testa. Presa dalla frustrazione e dall’umiliazione sono scoppiata a piangere in modo disperato. Forse è stato questo che ha sbloccato e calmato quel vecchio brontolone.
Da quel momento Bonaparte ha usato modi più educati, e leggermente meno burberi. Certo non è mai stato la perfezione di un galant’ uomo ma almeno non mi umiliava più, e ogni tanto mi lasciava addirittura degli spazzi per riposare o dedicarmi alle mie cose.
Finalmente avevo il tempo di dipingere, leggere, prendere il sole e fare delle passeggiate. Proprio durante una camminata spensierata nel giardino, ho visto Napoleone seduto su una panchina, curvo su se stesso, e con lo sguardo triste perso nel vuoto. Lì ho finalmente capitò quanto si sentisse solo e perché si comportava come un pazzo nei primi mesi di convivenza forzata.

Ero tentata di andare a consolare l’anziano signore ma ero certa che si sarebbe messo sulla difensiva e ripreso a gridare. Così ho fatto finta di niente fino alla fine della quarantena, ma il pensiero è sempre stato fisso sulla preoccupazione di trovare un modo per aiutarlo.
Anche ora, che fortunatamente sono potuta tornare a casa mia, penso a quell’anziano tanto fragile e solo. Come potrei aiutarlo? Cosa potrei fare per lui?
La soluzione arriva in un batter d’ occhio: accendo il computer, prenoto il treno e al volo riempio il trolley. Stavolta sarà diverso.
