
Quel che accadde quella volta a Boyle ebbe dell’incredibile.
Boyle era un piccolo villaggio di 625 abitanti. Era stato fondato, in un lontanissimo passato, in una vallata verde e fertile, protetta dalle montagne. Non pioveva quasi mai a Boyle, se non quando ce n’era bisogno. Il villaggio inoltre affacciava sul mare nel punto in cui un fresco ed energico fiumiciattolo vi si tuffava. La gente lì viveva di pesca, allevamento e agricoltura e non aveva bisogno di altro. La vita procedeva semplice e armoniosa, ognuno aveva il suo ruolo e si lavorava tantissimo. C’era Cassio, il fornaio, che ogni mattina, prima di tutti, si recava nel suo laboratorio e iniziava a inondare la città di profumi. C’era Agapito, il pastore, un tipo solitario che spariva per settimane sulle montagne con le sue pecore, e sua moglie Elvira, che lavorava la lana. Con i suoi lavori riscaldava gli abitanti di Boyle nelle fredde serate invernali. Poi c’erano contadini, maestri, pescatori e giovani ancora in cerca della loro strada.
Non si ricordava a memoria d’uomo nessuna particolare avventura che avesse direttamente coinvolto il villaggio, non c’era tempo per le avventure. Il lavoro era tanto.
Il numero di abitanti rimase sempre costante, ogni tanto qualche storico anziano del villaggio veniva a mancare ma nuove nascite riportavano nuove speranze all’interno della comunità. Circa ogni dieci anni un giovane insofferente decideva di partire e mollare tutto e non tornava più. Non si poteva evitare. Ma altrettanti viaggiatori di passaggio capitava che decidessero di restare lì per sempre. Il numero di abitanti era sempre stato costante tra i 600 e i 700. Era sempre stato sconosciuto e indifferente al mondo. Questa era stata la sua forza e la sua debolezza. Per quanto perfetto, in quel villaggio sembrava però mancare qualcosa.
Un anno però una serie improvvisa di morti accidentali fece crollare quell’armonioso numero di abitanti sotto la media. I primi ad andarsene furono il pescatore Piero che riforniva di pesce il mercato, insieme a suo figlio Nicola a cui stava insegnando il mestiere, morti affogati durante un’uscita in mare, scaraventati in acqua da un enorme pesce e rimasti impigliati tra le reti. Non c’era stato nulla da fare. La città non mangiò più buon pesce da settimane, qualcuno cominciò a soffrire di qualche carenza alimentare.
Poi fu la volta del medico del villaggio, Erminio. Un giorno se ne andò a camminare nel bosco vicino, come aveva sempre fatto, e non tornò mai più. Qualche giorno dopo venne trovato da due ragazzini in quel bosco, faccia a terra chissà da quanto. Essendo lui il medico del paese nessuno riuscì a capire mai di che morte fosse morto.
Qualche settimana dopo fu il turno del fornaio, stroncato da un infarto. Poi della giovane maestra Cesidia caduta dalle scale mentre correva per non far tardi al primo appuntamento con Sandro. Poi del vicesindaco, Claudio, morto durante una cena di lavoro, soffocato da un osso. E altre ancora.
Il villaggio era sconvolto, la gente aveva paura ormai ad uscire di casa. Mai così tante morti si erano susseguite in così poco tempo. Qualcuno iniziò a pensare di aver subito una maledizione, altri si chiusero in se stessi, in digiuni e in silenzi. L’armoniosa economia cittadina stava crollando.
Non sapevano però, gli abitanti di Boyle, che da tempo Isacco, lo scienziato del paese, da pochi stimato perchè ritenuto poco utile all’economia del villaggio, stava lavorando ad un siero. Chiuso in biblioteca per settimane, poi in viaggio nei boschi per altrettanti giorni, aveva messo a punto una ricetta, il siero dell’immortalità. Avendo urgenza di testarlo per le necessità che sappiamo, provò su animali che notoriamente vivono poco. Mosche, api, farfalle e, per scrupolo, su un difelfide, un topolone in fin di vita. Funziona! Senza aspettare altro tempo, già avevamo perso anche lo sportivo del villaggio, si cominciò a somministrare il siero a tutti i 489 superstiti. Grandi speranze e grandi feste seguirono all’ultima dose, quella che spettò al più giovane del villaggio Filippo, di anni due.
Passarono alcuni mesi ed effettivamente la situazione sembrò migliorata, se non addirittura risolta. Sembrava tornata la serenità e veniva già annunciata qualche nuova gravidanza. Meraviglioso! Un medico era capitato lì per caso, innamorandosi della bella Rosalinda e aveva deciso di rimanere. Qualcuno stava già imparando i vecchi mestieri. Nel giro di qualche anno si sarebbe tornati alla soglia dei seicento. Sette mesi dopo però qualcosa di altrettanto strano accadde.
La signora Luigina fu la prima ad accorgersi che qualcosa nel marito non andava. Aveva iniziato a dedicarle romantici versi d’amore, come neanche a sedici anni, quando si conobbero, aveva mai fatto. Non era a neanche mai stato particolarmente sveglio e sensibile a dirla tutta e quall’estro poetico la insospettiva. Quando ne parlò alla sua amica Loretta scoprì che anche suo marito sembrava aver riscoperto la poesia. Quantomeno da giovane molto leggeva e canzoni ti scriveva, le disse, ma da mio marito una rima non ho mai sentito prima. Si accorse solo alla fine di aver parlato in versi, Loretta, la guardò interdetta. Questa storia surreale mi sta facendo male, torno a casa Loretta, devo riposare un’oretta.
Come accadde per le morti misteriose anche la poesia dilagò nel villaggio. E fu un crescendo. Inutile dire che la toppa fu peggio del buco. Nessuno si dedicò più al proprio lavoro, tutti sentivano quest’urgenza di poetare. Persino lo scienziato, sempre immerso in calcoli e formule, aveva ora la testa in altri mondi. La radice quadrata, l’ho sempre immaginata, come il piede irrigidito, di un albero in granito.
Fu il caos. Se l’ondata di morte aveva provocato una chiusura e svuotato di fatto le strade della città, ora si potevano vedere tutti per strada, chi a scrivere, chi a cantare, chi pensieroso a passeggiare. Chi a scrutare quel ruscello mai stato così bello, o e chi quelle montagne che son barriera ad una vita assai più vera.
La produzione si fermò, nessuno lavorava più come prima, ma nessuno sembrava curarsene. Ormai era chiaro che il siero dell’immortalità non aveva avuto l’effetto sperato. Tuttavia aveva ridato vitalità e speranza ad un villaggio destinato all’estinzione.
L’effetto del siero scemò in qualche anno. Giusto in tempo per non far fallire l’economia. Qualcuno trovò la sua strada artistica. Finalmente la creatività prese piede nel villaggio.
In quegli anni turbolenti erano state composte tantissime meravigliose poesie, alcune di queste vinsero prestigiosi premi internazionali e il villaggio iniziò a farsi conoscere anche al di fuori delle sue montagne barriera. Mai più ci furono problemi di morti improvvise, né di bassa popolazione. Da lontanissimo giovani in pellegrinaggio sceglievano Boyle come meta, e Il villaggio iniziò a vivere anche di turismo. All’entrata della città fu affissa una targa. Recitava,
Benvenuti a Boyle, il villaggio che cercò l’immortalità con un siero e la raggiunse con la poesia.