Vai a vivere in una nuova città e ti presenti ai vicini di casa. Sul mobile di ingresso di casa loro vedi una foto di tua madre da giovane.
Era una mattina di settembre quando io e Stefano stavamo salutando quella città. Mi dispiaceva lasciare mio padre lì da solo; da quando è morta mia madre l’ho sempre visto occuparsi di me e mia sorella; si dedicava al lavoro ma nei suoi occhi si travedeva quel filo di malinconia. Corsi ad abbracciarlo, sapevo già che mi sarebbe mancato tantissimo, ma avevo bisogno di abbandonare quel triste paesino pieno di ricordi, anche perché io e Stefano avevamo sempre avuto questo sogno: Bologna. Veniva definita la rossa, la grassa, la dotta. Era la seconda volta che la visitavo, ma questa volta era diverso perché avevamo comprato casa lì. Ero un mix di emozioni. Ho sempre amato quella città; ricca di monumenti, di persone, di locali, di turisti e di universitari. Io e il mio ragazzo, amanti dell’arte, riuscimmo a trovare un appartamento nel centro storico, piccolo ma veramente bello e accogliente.
Da quel giorno iniziò una nuova vita per me, convivevo con la persona che amavo nella città dei miei sogni, quasi non ci credevo. Stefano trovò lavoro vicino casa, e io dopo qualche settimana iniziai ad insegnare. Nel tempo libero mi recavo spesso in biblioteca, dove conobbi due ragazze che divennero subito mie amiche. Lisa abitava in un quartiere più lontano rispetto a me e Debora, che abitavamo quasi vicine. Io e Stefano continuavamo a esplorare quella città così ‘viva’ e quando lui lavorava, uscivo con Debora. Ci incontravamo in biblioteca dato che ci accomunava la passione per i libri e poi facevamo lunghe passeggiate per le vie di Bologna. Un pomeriggio mi invitò a casa sua: <<Ho dei libri che voglio farti leggere nella mia vecchia casa, se vuoi domani vieni da me e ceniamo insieme>>.
<< Non vorrei disturbare>>
Lei mi interruppe:<< Figurati, non disturbi affatto, mia mamma abita lì da sola ed è felice se invito qualcuno e la vado a trovare. Non ha mai accettato che me ne sono andata, ma io sono così, ho bisogno dei miei spazi e amo stare da sola.>>
Io sorrisi:<< Va bene, allora grazie. Ti aspetto domani in piazza Maggiore.>>
Ero felice di aver trovato già qualche amica.
Debora arrivò un pò in ritardo, e quando iniziammo a recarci nella sua vecchia casa, notai che era verso casa mia. Ci ritrovammo davanti a questa villona con un giardino colorato di fiori. Era la casa vicino la mia, dove non avevo mai visto uscire e entrare nessuno. Entrammo e sembrava non esserci nessuno. Debora mi offrì subito da bere: <<Probabilmente mia madre sarà uscita, ho la libreria al piano di sopra, puoi seguirmi oppure servirti con calma. Ti aspetto di sopra>>.
Io sorseggiavo la coca cola mentre mi guardavo attorno, era una sala arredata perfettamente e ordinata. C’erano molte foto di Debora e di molte bambine. Stavo per raggiungere il piano di sopra quando vidi una cosa che mi sconcertò: la foto che mio padre aveva sul comodino, l’unica foto che avevo di mia madre. Ero spiazzata, Debora mi chiamava dal piano di sopra e la porta d’ingresso si aprì. Entrò una signora bionda, alta. Poggiò la borsa e con un sorriso mi salutò. Forse stava dicendo qualcosa, ma io me ne andai di corsa. Tornai a casa piangendo; non riuscivo a capire: <<Mia mamma era morta, non poteva essere lei; mio padre non mi avrebbe mai mentito.>>
Stefano mi ritrovò sul letto con il viso rigato dalle lacrime e con la voce tremante gli spiegai.
La sera trovai tre chiamate perse da Debora e alcune di mio padre. Ha sempre fatto così, quando non rispondevo si preoccupava e continuava a squillare fino a quando non era certo che stessi bene, ma questa volta non volevo sentirlo. Il mio ragazzo mi convinse di chiedergli spiegazioni, così risposi alla sua ennesima chiamata. Andai subito al dunque, lui non sapeva cosa dirmi e iniziò a piangere ma io riagganciai dicendogli di non chiamarmi più.
Passarono giorni, lui continuava a chiamarmi e io lasciavo il cellulare squillare. Mi aveva mentito, non avrei mai potuto perdonarlo. Decisi di parlare con Debora che rimase incredula. Mi raccontò che suo padre non lo sentiva spesso, pensava solo a se stesso e non andava d’accordo con quella donna che era nostra madre.
Passò qualche settimana e mentre rientravo a casa da lavoro, ritrovai mio padre fuori la porta. Inizialmente gli dissi di andarsene, poi con molta difficoltà decisi di ascoltarlo. Lo ascoltavo con rabbia, mi aveva sempre mentito.
<<Sai, sei stata la gioia più grande per noi. Io e tua madre eravamo così felici. Quando hai compiuto un anno ti organizzai il compleanno, volevo che fosse tutto perfetto, tu sorridevi sempre sin da piccola e io volevo vederti felice, per questo non volevo ferirti. Io ero sempre impegnato con il lavoro, tornavo la sera tardi e una sera trovai tua madre con un altro. Cercavo sempre di farla sentire amata, ma ciò non è bastato. L’ho sempre amata ma non sono mai riuscita a perdonarla. Lei decise di andarsene con quel signore e io non riuscivo a dirvi che vi aveva abbandonate. Sono passati diciotto anni ma lei rimane la donna che amo, nonostante tutto. Tu e tua sorella siete l’unica cosa che mi rimane>>.
Le lacrime scendevano, non sapevo cosa dire, ero confusa ma lo abbracciai forte. Rimase un pò di giorni lì da noi, mentre io continuavo ad andare a scuola per insegnare.
Un pomeriggio nella mia cassetta delle poste notai una lettera strana senza francobollo. Era per me ma non c’era né indirizzo né mittente. Ho aperto incuriosita e ho iniziato a leggere mentre mi avviavo verso la porta di casa.
<<Ciao biondina. E’ così che ti chiamavo da piccola, quando ti mettevo nella culla la sera, quando mi guardavi con quegli occhietti verdi. Ti ho sempre seguita anche da lontano, non c’era un giorno in cui non ti pensavo, che chiedevo informazioni su di te, su tua sorella. Lasciai quella città quando tuo padre mi disse che non voleva più vedermi, quella città era piena di ricordi e continuare a stare lì mi devastava. Amavo tuo padre, non litigavamo mai, ma i nostri mille impegni ci hanno divisi. Tuo padre era sempre impegnato con il lavoro, io mi sentivo sola. Probabilmente pensi che sia colpa mia, so di aver sbagliato, mi prendo ogni responsabilità, ma ero ancora una ragazzina e non credevo che vi avrei perso. Quando hai compiuto diciotto anni volevo tornare da voi, ma era assurdo farmi viva così all’improvviso, vi avrei fatto soltanto male, così scrivevo tramite lettere che non vi ho mai mandato. Incontrai tua sorella in un negozio anni fa… mi mancate! Io non vi ho mai abbandonate . Debora mi ha detto che sei arrabbiata. E’ giusto, lo capisco, non si può tornare indietro ma dammi l’occasione di riparlare con la mia biondina>>.
Piangevo per rabbia, delusione; non sapevo bene cosa provassi. Ne parlai con mio padre che ovviamente mi consigliò:
<<Prova a darle una possibilità. Confermo che vi provava a cercare. Vi mandò due lettere, ma voi eravate piccole e io decisi di nascondere tutto. Volevo che non soffriste.>>
<<Papà, so che volevi proteggerci, ma sappi che mi hai ferita, mi hai mentito per tutto questo tempo>>.
Non so come ma dopo mesi mi ritrovai nuovamente in quella villa, davanti ad un caffè e quella donna molto simile a me.
<<A volte le cose non vanno come vorremmo…>> ma io la interruppi :
<< Io sono molto ferita e confusa, ci vorrà tempo perché mi avete mentito per anni, da quando sono piccola. Per anni mi sono chiesta se mia mamma fosse stata orgogliosa di me, c’erano giorni che nonostante avevo un padre perfetto avrei desiderato un consiglio e un appoggio da mia mamma, ma non c’era. Non potrai recuperare il tempo perso, mio padre si è preso cura di noi, mi ha cresciuta, tu non c’eri. Ma nonostante questo e nonostante tutto ti perdono perché tu sei mia mamma>>.
Decisi di perdonarla perché volevo essere felice, perché mi faceva sentire meglio, perché non volevo portare rancore.
PERDONARE, aiuta a guardare oltre, ad andare avanti.