Giovanni è finito in un burrone. Era partito per la sua solita sessione di trekking estremo del fine settimana, anche se quel sabato mattina si era svegliato con uno strano presentimento. É là sotto, solo, in mezzo ai rovi, con una gamba fratturata e forse anche una costola rotta. Per fortuna ha sempre avuto l’abitudine di tenere il cellulare nella tasca interna della giacca, nella sua custodia imbottita.
Lo tira fuori e, grazie a Dio, è ancora acceso. C’è solo un’ammaccatura nell’angolo in basso a destra, ma chi se ne frega! Deve assolutamente chiamare Giulio, l’unico che conosce quelle montagne meglio di lui. Ma è davvero da tanto che non si sentono, dopo quel furente litigio di qualche anno fa.
“Ecco! Lo sapevo!” esclama tra sé e sé. Nel passaggio al nuovo smartphone Giovanni ha perso il numero telefonico dell’ex amico. E allora comincia a gridare “AIUTO! QUALCUNO MI AIUTI! C’É NESSUNO LASSÙ!?“. Così fino a sera… Ma quando comincia a vedere la luce sparire tra i rami capisce che deve fare qualcosa. Ha perso la voce quasi completamente e non può permettersi di perdere anche le ultime energie residue.
Un pensiero lo tormenta e giura a se stesso che se mai lo avessero trovato vivo, sarebbe cambiato. Da quel tragico 2 Maggio 1991, in cui gli comunicarono la morte dei genitori in un incidente stradale, Giovanni teme orribilmente le cornette del telefono. All’epoca i telefonini ancora non esistevano, ma quel timore ha iniziato ad associarlo anche a quelli. Da allora ha sempre risposto con fatica a qualunque telefonata e ha sempre visto nel cellulare un mezzo per chiamare, più che rispondere.
“Magari scrivimi un messaggio e poi ti richiamo” era la sua frase standard. Ed i suoi amici ormai avevano iniziato a non mandargli più nemmeno quelli. I vocali, poi, erano proibiti. “Beh, è esattamente come se tu mi chiamassi al telefono!” aveva risposto acido alla sorella che, entusiasta di provare WhatsApp, gli aveva registrato un messaggio audio di ben 5 minuti!
“Nessuno mi chiamerà! Nessuno mi troverà! Si accorgeranno che c’è qualcosa di strano tra chissà quanto! Nessuno si insospettirà se non mi sentirà per una settimana!“
Allora, improvvisamente, ripensa ad Anna, la SUA Anna. Che coglione che era stato a lasciarla andare così! Anche con lei aveva rovinato tutto! E proprio adesso avrebbe avuto dannatamente bisogno della sua presenza!
“Vabbè io ci provo lo stesso. Anche se so per certo che non vuole più vedermi.” Il suo numero non avrebbe mai potuto perderlo. Ce l’aveva stampato in testa, inciso nella memoria. Lo compose con mano tremante.
Driiiiinnnn driiiinnnnn “Ma chi può essere a quest’ora della notte!” Anna era spaventata. Afferra il cellulare e vede quel nome. Un nome che non aveva mai avuto il coraggio di cancellare veramente, né dalla rubrica, né dalla propria vita. “Se non rispondo penserà che lo odio ancora, ma come faccio?!“. Anna era diventata sorda quasi completamente e provava un’immensa vergogna per questo. Doveva tenere la suoneria al massimo e anche la vibrazione, altrimenti non avrebbe mai risposto al telefono nemmeno lei.
Lascia cadere la chiamata e gli manda un messaggio. D’altronde avevano sempre fatto così, no?
“Non posso rispondere adesso. Poi ti spiego. Cos’è successo?”
“Sto morendo. Solo tu puoi salvarmi! Ti ricordi il nostro sentiero? Certo avrei preferito ricordarlo come il luogo del nostro primo bacio, ma ti prego, vieni ad aiutarmi! Sono caduto nel burrone sotto la roccia delle antilopi. Ti prego! Non mi resti che tu!“
Anna si alzò di scatto dalla sdraio e cominciò a correre verso casa. Si era appisolata in spiaggia dopo un bicchierino di rum e nemmeno si era accorta di che ora fosse. Aveva un granchio appeso alla gonna, impigliato tra i fili di cotone dell’orlo a merletto. Lo liberò con dolcezza e proseguì la sua corsa. Le chiavi della macchina erano nel cruscotto e le restavano solo 2 ore prima del tramonto.
E mentre Anna guida spericolata sulla litoranea, Giovanni comincia a delirare in preda ad una spossatezza mai provata, accompagnata da dolori lancinanti e dai primi brividi di freddo.
“Ormai per Anna sono uno sconosciuto! Non conosce i miei obiettivi di vita o forse dovrei dire che non sono di certo stato bravo a farglieli capire! Era così difficile dirle che partire per la spedizione sul K2 era l’ultimo tassello di un sogno che da sempre aveva rappresentato la mia unica ragione di vita, ma che questo è stato vero solo finché non ho incontrato lei?!“
Non conosce il mio ruolo all’interno dell’associazione, anzi, sono io che gliel’ho sempre tenuto nascosto. Le ho sempre fatto credere di essere un invasato, malato di montagna, iscritto ad un club di invasati come me. E invece ero molto di più. Ero e sono un soccorritore impavido e coraggioso, che rischia la propria vita per salvare quella altrui.“
Ma finalmente ecco Anna, trafelata e sudata, dopo una scarpinata impossibile, con indosso tutto il materiale necessario per il recupero di Giovanni. Anche Anna era stata una soccorritrice, ma aveva messo da parte tutto per lui, quell’egoista di Giovanni! Sapeva bene quanto fosse rischioso quel mestiere e la loro vita insieme era più importante. Ma lui no! Aveva voluto continuare e addirittura era partito per il K2! E quando era tornato Anna non c’era più. Se n’era andata.
Anna comincia a gridare, nella speranza di sentire la voce di Giovanni. Quella dannata sordità! “Grida più forte che puoi! Giovanni mi senti!?” Ed eccola là, la roccia delle antilopi. “Giovanni deve essere vicino! Speriamo non sia svenuto!” Si affaccia e “Siiiii!!!! Lo vedo!! Quel maledetto caprone!! Ma è mai possibile che io non riesca ad odiarlo nemmeno un po’!? “
Lancia giù una fune ed un’imbragatura. Giovanni dovrà cercare di alzarsi e risalire col solo ausilio della gamba ancora integra. Manca poco e sarà notte fonda. Per fortuna il punto di caduta è a meno di un chilometro dall’inizio del sentiero. Con una buona torcia ce l’avrebbero fatta in meno di 3 ore forse…
Finalmente intravedono l’automobile. Giovanni è allo stremo delle forze e sviene sul sedile posteriore. Il motore ruggisce e si avvia verso una corsa frenetica. Ma quella notte non sono solo loro a correre verso il pronto soccorso. Lungo il tragitto, ad Anna si accoda un’utilitaria giallo canarino con un fanale ammaccato, che suona talmente forte che persino una sorda come lei prova fastidio.
L’uomo stava correndo all’ospedale con il figlio in pericolo di vita. Si era ubriacato ad una festa di laurea ed era entrato in coma etilico. Di solito, Marco si sente più potente quando supera le altre automobili col suo catorcio fosforescente, ma quella sera no. Quella sera non voleva incontrare nessuna auto. Voleva la strada tutta per sé. Doveva correre veloce come il vento!
“La gente odia le auto come la mia, perché vanno lente, sono mezze rotte, buttano fumo che manco una ciminiera. Stasera sono io ad odiare tutti voi! Anche tu! Col tuo odioso Range Rover da fighetta! Ma proprio stasera dovevi decidere di uscire a quest’ora!?”